Il Castello di Petroro, sec. XIII

Data di pubblicazione:
26 Giugno 2020
Il Castello di Petroro, sec. XIII

In età medievale Petroro era una villa di 60 fuochi, ossia famiglie,
come risulta dal censimento del 1290: dovevano, dunque, risiedervi
circa 300 abitanti.
Sembra, tuttavia, che un insediamento esistesse fin dall’età romana,
come documenterebbe l’esistenza della gens Petreja, di cui parlano gli
storici dei secoli XVII e XVIII, dalla quale si fa derivare il nome della
villa Petroia.
Nel 1296 il Consiglio generale del Comune di Todi fortificò il luogo
e lo affidò ad un sindaco e due massari per l’amministrazione ordinaria,
la bassa giustizia e la gestione finanziaria.
Nel Trecento, trovandosi il castello sulla linea di confine tra Todi e le
città di Foligno, Spoleto e Bevagna, esso fu inserito nel sistema difensivo
della città, al pari dei castelli di Lorgnano, Castelvecchio, Duesanti,
Monte Lupone e Loreto: agli abitanti spettava il compito di fare da
sentinelle e segnalare l’eventuale avvicinarsi dei nemici.
Il castrum di Petroro era situato, come si è accennato a proposito
dell’oratorio di San Martino, su uno dei principali diverticoli della via
Flaminia, che, passando per Santa Maria in Pantano, correva in direzione
di Foligno. La posizione di Petroro era, dunque, strategica perché
il castello era collocato su di un asse viario di primaria importanza che
collegava Todi ad una delle principali strade consolari romane.
Sullo scorcio del Quattrocento Petroro fu ricovero dei ghibellini
fuoriusciti da Todi e, alla fine del secolo, caduta ormai la città in mano
dei guelfi capeggiati dalla famiglia Atti, vi furono massacrati i ghibellini

seguaci di Altobello Chiaravalle, il quale venne a sua volta ucciso ad
Acquasparta nel 1500. Proprio in seguito a tale definitiva sconfitta della
parte ghibellina, il castello fu saccheggiato all’inizio del Cinquecento
dalle truppe di Alessandro VI e non fu raso al suolo forse solo perché
il Consiglio generale aveva stabilito nel 1493 che gli abitanti avessero
la cittadinanza todina dietro pagamento di 93 ducati d’oro. Ma a quel
tempo erano rimasti a Petroro soltanto 28 abitanti, che risalirono in
seguito a 150, come si rileva dai dati del censimento del 1571, per poi
scendere a 112 nel 1810.
Alla metà del Settecento sono attestate nel territorio della parrocchia
di San Biagio di Petroro alcune proprietà del capitolo della cattedrale, di
San Bernardino alla Fratta, degli Olivetani di Todi, del monastero delle
Milizie di Todi e, soprattutto, dell’opera pia della Consolazione.
L’antica chiesa, dedicata a San Biagio, trasformata ed ampliata
nel Settecento, conserva intatto il lato destro e parte della facciata, in
cortina squadrata e levigata. All’interno si conservano una Vergine col
Bambino (1855), affresco del tuderte Eliseo Fattorini, collocato sull’altar
maggiore, e una piccola tela sull’altare di destra raffigurante Maria col
Bambino ed i santi Domenico e Apollinare, attribuita al pittore Luigi Sabatini
(m. 1895), anch’egli di Todi.
La chiesa è situata, secondo l’uso medievale, immediatamente al
di fuori delle mura del castello, dove costituiva un punto di difesa e
ricovero per i pellegrini.

Nonostante i successivi rimaneggiamenti, sono ancora ben visibili
le strutture originali, ancor meglio evidenziate dai recenti interventi di
restauro, che hanno restituito la struttura all’antico splendore. Dell’antico
castello sopravvivono il circuito delle mura ed il cassero centrale,
realizzati secondo l’impianto cinquecentesco dato dalla famiglia Ridolfi,
della quale sono conservati numerosi stemmi. Tutto attorno al castello
le abitazioni e i locali di servizio, di guardia e di gabella. La porta
d’ingresso è una bellissima costruzione sormontata da uno stemma in
pietra della città di Todi datato 1577. Nei catasti di metà Ottocento sono
documentati un forno e un molino da olio, di cui rimane la macina. Il
palazzo, che domina il complesso, fu sede dell’amministrazione agricola
della Congregazione di Carità.

Testo di Lorena Battistoni


 

le foto nelal Gallery sono state cortesemente concesse da Carlo Intotaro (Droinwork) e Roberto Befani.

 


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Foto (i luoghi del silenzio)

Ultimo aggiornamento

Martedi 23 Aprile 2024