Racconto di Roberto Carbonari
RINASCIMENTO E RISORGIMENTO di Roberto Carbonari
Il caso aveva combinato un bel pasticcio, quel giorno.
Winston, storico di professione, doveva recarsi a Perugia per un convegno su Garibaldi di cui era uno dei principali relatori.
Ma la sua auto si era fermata proprio sotto il colle di Todi, e così si era ritrovato su di un carro attrezzi che lo aveva scaricato proprio vicino al tempio di Santa Maria della Consolazione, edificio rinascimentale che non aveva mai visto dal vero, anche se ne conosceva storia e leggende.
Winston era uno storico affascinato dalla cultura italiana, e si era scoperto anche lontano parente del grande Denis Mack Smith, cosa che ripeteva ad ogni nuova conoscenza; trovarsi davanti a quel maestoso tempio lo riempì di ammirazione e curiosità, per cui con la pignoleria britannica tipica del suo rango iniziò ad osservarne minuziosamente le forme ed i dettagli, girando attorno all’edificio e soffermando lo sguardo ad ogni metro.
E fu così che, mentre puntava i suoi occhi vivaci grattandosi la barba corta e brizzolata, fu attratto dalla decorazione di un capitello esterno e rimase attonito: sotto le ali di un piccolo angelo scolpito c’era, inciso nella pietra, un volto, piccolo ma ben riconoscibile: Garibaldi in persona!
Cosa ci faceva il volto dell’eroe sul capitello di una chiesa del ‘500?
Prese dalla borsa a tracolla il binocolo che portava sempre con sé e osservò meglio il dettaglio. Non c’erano dubbi, si trattava del volto di Garibaldi.
Esclamò ad alta voce, in italiano quasi perfetto: «Ma come è possibile che si trovi lì? Chi è stato?»
Fu esattamente in quel momento che quella faccia, dalle sembianze così familiari, sembrò aprire la bocca e una voce roca, quasi un’eco proveniente da una caverna, ma ben distinguibile, iniziò a parlare.
«Meravigliato di quanto sta vedendo, egregio signore? Sono proprio io, l’eroe a cui lei ha dedicato la sua vita di studio, in maniera impeccabile. Ho sempre ammirato gli inglesi, per la verità, quanto ho detestato i francesi! Non si affanni a rispondermi, vengo subito al dunque: vuol sapere cosa ci faccio qui, o meglio, cosa ci fa la mia faccia sul capitello, vero? Bene, ecco la spiegazione del mistero: correva l’anno 1849, al comando dei miei soldati tornavo da Roma dove avevamo subito una bella batosta – appunto ad opera dei francesi -. Ci fermammo ad osservare la chiesa e fummo subito circondati da un gruppo di cittadini curiosi e ammirati. Tra di loro c’era anche uno scalpellino, che per l’appunto stava lavorando a quei capitelli che lei, egregio signore, ha davanti agli occhi. Mi disse che detestava il papato e che dovevamo prima o poi prenderci Roma con tutti i suoi tesori, e subito mi propose di fare un… dispetto alla curia. Una mia foto, ma incisa sulla pietra, nascosta ma non troppo, a testimoniare non solo il nostro passaggio, ma anche l’idea di libertà e laicità a cui Todi, da secoli dominata dallo Stato Pontificio, ormai anelava da tempo. E in men che non si dica il dispetto fu realizzato! Buona giornata egregio signore!»
Winston rimase attonito e incerto se avesse sognato o ascoltato davvero le parole di Garibaldi.
Fissò ancora con il binocolo quel volto scolpito che – ma si convinse subito di aver avuto una sorta di allucinazione – poco prima aveva dato segni di vita, o almeno così gli era sembrato. Dedusse, non senza rammaricarsi, che il suo più che decennale studio del Risorgimento italiano gli aveva provocato una sorta di “immedesimazione allucinatoria”: quasi sperava che si ripetesse quell’esperienza sensoriale, ma il volto di Garibaldi taceva immobile e freddo.
Continuò pertanto la visita dell’insigne monumento, contento di poter approfittare della sosta imprevista per studiarne dettagli, forme, elementi decorativi, senza trascurare la visione di sintesi che, indubitabilmente, dava l’impressione di una grande madre: la cupola e le semi cupole cosa erano se non la riproduzione lapidea del seno materno, tutto era circolare e morbido, gli spigoli appena accennati e nascosti non turbavano quel senso di accoglienza umile e consolatoria, mai sminuito dall’imponenza della chiesa.
In effetti, non era un caso se il monumento si chiamasse Santa Maria della Consolazione, rifletté Winston mentre con la mano alzata a mo’ di schermo si riparava gli occhi dalla luce del sole basso sull’orizzonte.
Pochi passi più avanti, sempre percorrendo il perimetro esterno, si accorse che l’ombra della chiesa permetteva una sosta più piacevole e si affrettò per fermarsi nella zona al riparo dal sole; così poteva con calma continuare l’osservazione dei dettagli architettonici.
Il binocolo ben appoggiato agli occhi, Winston con la sua corporatura robusta e l’aria sempre vagamente burbera, dava l’impressione di essere più un capitano di marina che scruta la linea dell’orizzonte che uno studioso incallito della storia italiana.
Muoveva lentamente l’attrezzo oculare per gustarsi ogni dettaglio dei fregi e delle sculture che adornavano la chiesa; improvvisamente puntò la sua esplorazione sopra un capitello di una lesena che riportava al suo interno una foglia di acanto.
Dentro la foglia gli parve di scorgere anche qui una testa scolpita, e per un attimo pensò che lo scalpellino avesse ripetuto il volto di Garibaldi ma…, ma…. quello non era Garibaldi. No, era diverso. L’ombra del capitello non permetteva di analizzarne i dettagli con precisione, per cui si avvicinò e portò lo zoom del binocolo al massimo. Non ebbe dubbio alcuno: era Giuseppe Mazzini!
Lo scalpellino risorgimentale aveva completato forse l’opera anche con l’eroe del pensiero libertario e repubblicano.
L’ipotesi era verosimile, ma… Winston non era sicuro che le parole di Garibaldi che aveva udito poco prima fossero reali e quindi ebbe qualche ragionevole dubbio sulla storia appena ascoltata. Il fatto era che i due volti, nascosti ma riconoscibili, erano lì, scolpiti su quelle pietre.
Il nostro uomo ebbe un tremito al solo pensiero che anche Mazzini si animasse e prendesse la parola; qualche goccia di sudore gli scese dalla fronte mentre riponeva il binocolo, quasi temesse che inquadrando da vicino quel volto potesse ascoltarne le parole, così come era successo con Garibaldi.
Il dubbio si sciolse pochi istanti dopo.
Non fu però il ritratto ad animarsi e cominciare a parlare.
Questa volta Winston si trovò faccia a faccia con una sorta di ologramma del volto di Mazzini, che lo fissava a un metro da lui. Provò a girarsi, a stropicciarsi gli occhi, ma appena li riapriva quella figura era lì, inespressiva ma reale quanto lo era la pietra da cui era spuntato.
in un moto istintivo allungò il braccio per convincersi che quel volto tridimensionale altro non fosse che la raffigurazione sortita dalla sua mente per uno strano effetto allucinatorio (e quel giorno le allucinazioni lo stavano perseguitando, forse dovute ad uno studio talmente intenso e passionale che rischiava di renderlo schizofrenico – questo pensiero allarmante gli sfiorò la mente mentre cercava di allontanare da sé l’eroe risorgimentale, che invece continuava a fissarlo).
La cosa più incredibile era che dovunque voltasse lo sguardo, davanti, dietro, in alto, in basso, la figura si posizionava esattamente nella linea dei suoi occhi, proprio come un ologramma proiettato dal suo pensiero.
Sfinito, Winston riuscì a emettere un suono vagamente riconoscibile: «Chi sei?»
«Egregio Signore, immagino che mi abbia riconosciuto e non ci sia necessità che mi presenti. Giusto?» rispose l’ologramma, e la voce sembrava che provenisse dall’interno del cervello di Winston. Il quale, confuso ma presente a se stesso quel tanto che gli permettesse di sostenere una conversazione con Giuseppe Mazzini in persona – o almeno con una sua immagine chissà da dove uscita fuori – replicò:
«Certo, so chi è Lei. Il problema è che forse non so più chi sono io…ma…lasciamo perdere. Anche Lei immortalato dallo scalpellino anticlericale come l’altro Giuseppe suo “vicino”?»
«Certamente. Eravamo entrambi in fuga da Roma e ci siamo fermati proprio qui. Poi ognuno per la sua strada, io inseguito da mezza Europa, il generale dagli austriaci. Se vuole in questo poco tempo in cui mi è concesso parlarle, può farmi qualche domanda; so che lei è uno studioso della nostra storia e quindi sarà interessato…»
Il volto di Mazzini era totalmente inespressivo ma la voce reale, appena arrochita e un pochino afona.
Winston si rese conto che le persone intorno a lui potevano prenderlo per pazzo osservandolo parlare da solo, ma allo stesso tempo l’idea di poter conversare con un personaggio che aveva sempre ammirato per le idee, la fermezza morale, la coerenza spinta all’eccesso ma mai tradita, ecco questa possibilità, per quanto inconcepibile e di sicuro uscita dalla sua mente instabile, non poteva perderla. Si sentiva un po’ come in un sogno realistico, dove dettagli e situazioni erano perfettamente al loro posto e ben evidenti, eppure la realtà era rovesciata e razionalmente assurda. Si ricordò dei quadri di Magritte di cui era un appassionato conoscitore.
«Sono confuso, egregio…. come posso chiamarla? Comandante? Filosofo? Dottore? Difficile definirla, comunque sia, sì sono molte le domande che potrei farle, perché ho studiato a fondo la sua vita e i suoi scritti, ma non tutto è chiaro, come logico che sia. Per esempio, la questione della sua appartenenza alla massoneria, mai chiarita. Sono stati scritti fiumi di parole a supporto di una tesi e del suo contrario. Lei è stato massone?»
«Dovremmo rovesciare la questione, caro signore. E affermare che in effetti l’unica verità da scrivere sarebbe quella che indica la massoneria come mazziniana, e non il contrario. In quel tempo, lei lo sa bene, in certi ambienti tutti erano massoni, o dicevano di esserlo. Fu inevitabile conoscere l’organizzazione, i suoi militanti, perché molte idee repubblicane e libertarie trovavano grande ascolto all’interno della massoneria. Io, se mi permette, mi spingevo molto oltre, immaginando una società che dal basso, dal popolo, dagli operai, potesse cambiare le cose, abbattere i poteri stabiliti, unificare dopo aver diviso. La mia visione immaginava orizzonti molto più ampi, nei quali anche la chiesa e il cristianesimo potessero avere un ruolo fondante per la liberazione dei popoli. Ma il discorso sarebbe troppo lungo e complesso, posso solo dirle che dopo la mia morte fu la massoneria ad associarmi alla sua organizzazione come un adepto, quando mai lo fui. E se in qualche momento poteva sembrarlo, fu solo perché avevo bisogno di chi mi aiutasse nei momenti più dolorosi. Fu opportunismo, certo, ma in virtù di una causa superiore, a cui mai ho pensato di cedere. Il tempo, mio caro signore, sta per scadere. Le concedo ancora una domanda, poi tutto sarà finito…»
«Vorrei non finisse mai questo tempo, se solo avessi la certezza che non sto sognando» pensò Winston dopo la sollecitazione di Mazzini.
Riprese coraggio e un minimo di lucidità per porre la questione che più di tutte lo aveva coinvolto nei suoi studi risorgimentali.
«Pochi metri più in là su questo muro, quasi a suggellare un connubio di secoli, vi è l’effigie di Giuseppe Garibaldi. Tutto sappiamo dei vostri rapporti, abbiamo studiato documenti, fonti, biografia sterminata. Eppure, un dubbio rimane: nonostante i vostri contrasti, via via sempre più profondi e divisivi, forse l’Italia non sarebbe stata unificata senza la vostra imprescindibile opera, artefici entrambi di un grande processo storico. È giusto questo pensiero?»
«In parte è giusto – replicò subito Mazzini. Occorre però un distinguo importante. Garibaldi si affidò del tutto alla monarchia e attraverso questo accordo compì le sue imprese militari. Quella monarchia che poi, come hanno sperimentato gli italiani del ‘900, portò alla tragedia della guerra e del fascismo. Io sono sempre stato un repubblicano, ho sempre lottato per affermare idee libertarie che non potessero prescindere da un sistema parlamentare e democratico. Purtroppo, ero in anticipo di quasi un secolo».
Il volto inespressivo di Mazzini evaporò davanti agli occhi di Winston subito dopo l’ultima frase.
Il nostro uomo rimase immobile, cercando di memorizzare ogni singola parola ascoltata. Intorno i turisti passeggiavano distrattamente osservando la chiesa, chiacchierando a voce alta e non prestando alcun interesse per la figura di Winston che, ad un osservatore attento, sarebbe apparsa a dir poco stralunata.
Gocce di sudore gli rigavano il viso paonazzo, mentre si passava una mano sugli occhi quasi a tirar via un’esperienza che, a dispetto della realtà senziente con i suoi colori e suoni e immagini, avrebbe desiderato che fosse solo la fase di risveglio da un sonno agitato.
Accanto alla chiesa vide un bar con tavolini all’esterno.
Si sedette, ordinò una birra, e stette per un tempo indeterminato a fissare quel quotidiano viavai di gente ignara, sconosciuta, indifferente.
Sapeva che di lì a poco sarebbe andato di nuovo a cercare quei volti scolpiti sulla pietra, con la speranza di non trovarli, e con la certezza conseguente di aver sognato, o di aver un inizio di schizofrenia.
Ma lasciò passare il tempo, aspettando che il sole basso sull’orizzonte temperasse l’aria e ristabilisse un equilibrio interiore fortemente alterato dagli eventi allucinatori che aveva vissuto.
Per la verità poi non tornò a cercare i volti dei due eroi del Risorgimento: invece si trovò a riflettere sulle parole Risorgimento e Rinascimento, concetti che aveva davanti a sé nelle forme della chiesa della Consolazione di Todi e nelle sembianze dei due eroi Garibaldi e Mazzini.
Parole che nella sua vita aveva incontrato spesso, e con le quali aveva una familiarità quasi elettiva.
Entrambe risuonavano nella sua mente con quel significato profondo che evoca uno strappo, un cambiamento, una rinascita da un passato buio o minore. Non sapeva se avesse vissuto un incontro inconsueto fra i due mondi della storia, non sapeva se fosse stato un caso o un percorso intrapreso anni e anni addietro per trovarsi, quel giorno, ad incrociare Bramante, Mazzini, Garibaldi in una sorta di trance allucinatoria.
Non volle capire e sapere altro.
Gli bastava aver goduto un momento di tempo sospeso tra passato e presente.
Si alzò dal tavolino, respirò l’aria fresca del tramonto e a passo leggero salutò con un gesto furtivo di commiato quello spazio che, ora lo sapeva con certezza, avrebbe sempre avuto dimora in se stesso nel tempo avvenire.
RINASCIMENTO E RISORGIMENTO di Roberto Carbonari
fonte:
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Ultimo aggiornamento
Martedi 17 Dicembre 2024